Io mi ricordo ancora quando scrivevo quel lungo post sul primo giorno di Conservatorio.
Me lo ricordo eccome.
Il giorno dopo il concerto dei Supergrass a Bologna.
Quella Bologna che ha visto l’inizio del mio nuovo e duro cammino verso il mio più ambito sogno.
Non ci credevo allora, e per tanto tempo negli anni non ci ho creduto.
Ieri mi sono diplomata in armonia, oggi in pianoforte.
A settembre il mio diploma di canto.

Ho letto, sentito e poi detto cose che mi hanno riempita di tutta quella gioia che attendevo da secoli. 
Istanti, minuti, momenti. Cristo non se ne andranno mai.
Occhi lucidi, saluti timidi ma pieni di affetto, parole di stima, di amore. Di desiderio, di ammirazione.

Io sono felice, in tutto il casino che c’è *ancora* nella mia mente. Io. Sono. Felice.

72.

E quindi.
Il 9 ottobre nacque John Lennon.
Sì quello dei Beatles, quello che poi s’è trovato la giapponese [dall’aspetto di dubbio gusto (Nda.)] che li ha fatti sciogliere e che poi s’è messo a fare l’attivista. Vero o presunto.
Quello che a 40 anni appena compiuti è stato assassinato da un idiota che avrebbe dovuto essere ucciso subito dopo di lui. O in alternativa, per una strana capitolazione del destino, investito da un pullman il secondo prima l’aver premuto il grilletto.
Insomma, quel John Lennon.
Facile dire chi era John Lennon per la gente, e cose è stata la sua assenza per il mondo.
Più difficile dire quello che è stata ed è per me la sua assenza dal mondo.
John è parte delle mie giornate.
La sua voce, come quella di un amico che sussurra parole, domande random all’orecchio senza la pretesa di ricevere risposta.
Penso a lui come a qualcuno che c’era.
Che c’è. Sotto forma di colore, risata, poesia, talento, amore.
Sento la sua assenza: detesto dover godere anche di quella.
Detesto sapere che quando nacqui lui non c’era già più.
Mi consola sapere che c’è stato e che ha scritto per me.
Amo il pensiero che ci somigliavamo un po’.
Mi consola sapere che sino ad un freddo giorno di dicembre di 32 anni fa, il suo cuore ha battuto anche per me. Più di quanto il cuore di un uomo normale sarebbe stato capace di fare, dopo cinque dannati colpi di pistola. Cinque.

Ma non scherziamo.
Il suo cuore continua a battere, ancora ed ancora.
Ogni volta che qualcuno ascolta una sua canzone? Certo. Ogni volta che qualcuno sente la sua assenza.
Batte ogni volta che il mio volto viene solcato da una lagrima.

Ti voglio bene John. E magari me ne avresti voluto anche tu.

Cristo. Sono passati 6 anni. Uhm. Quasi 6 anni.
Poche cose appaiono remote come quel 2004 che volgeva al suo termine.
Adesso solo la musica riesce a riportarmi alcune fugaci immagini alla mente.
Dannazione se sono sbiadite. Vorrei tanto rispolverarle, come si fa con vecchie scatole da anni in cantina.
Questo crudele fischiettare, mi riporta vicino.
Vicino a lui.
In quella macchina.
Riporta il suo viso e le sue finissime labbra, dinnanzi al mio sguardo.
Ma è sempre. Schifosamente. Lontano, tanto lontano da non farmi osare la presunzione di sentirlo ancora lontanamente mio.
Vorrei toccarlo, sfiorarlo almeno.
Ma non posso. Non potrò mai più.
Vorrei sognarlo, e sentirlo nelle mie orecchie come sto facendo adesso con queste canzoni che echeggiavano, lente, anche durante le nostre serate.

Ogni tanto capita, anche se non voglio farlo capitare. E, come al solito, colpevole è la musica. Che capita, per caso, prepotente, in tepide serate come questa.
Gioia ma anche sale nelle ferite ancora non del tutto rimarginate.

O forse solo invisibili cicatrici.

 

{Sweet love of mine…

[Patience?
….]

A proposito di ricordi. 
Quando vidi lei rimasi senza fiato.
Appena entrata in quella stanza, mi girai e la trovai lì, avvolta da un’eterea nube biancastra, silenziosa.
La foto le rende tutt’altro che giustizia nei colori.
E tra celeberrimi Girasoli o Vergini Delle Rocce, la mano di K. mi ha espugnato il cuore in un solo secondo.

id135_largeRitratto di Hermine Gallia by Gustav Klimt
National Gallery, London.

Eilà!
Vedete che sono tornata da Londra, quindi levatevi dalla testa il pensiero che il mio aereo sia ammarato fortunosamente sulla Manica con tutti sopravvissuti tranne me.
Adesso però lasciatemi riprendere. E, vi assicuro, è tutt’altro che facile.
Vi lascio con una sola parola, citazione del nostro caro presidente degli Stati Uniti, usata da quest’ultimo quando qualcuno gli confidò di aver vinto "meritatamente" il Nobel per la Pace:

"Wow! "

Storie di ordinaria follia ferroviaria.

Eccoci qui.
No. Non sono ne nera, ne rossa ma forse solo lontanamente rosea.
Avrò fatto 3 ore di spiaggia nel complesso. Tra dannatissimi praticanti di Kite Surf che impedivano qualsiasi movimento in acqua o in spiaggia.
"Però ho camminato tanto, in compenso."

Diciamo che ho voglia solo di parlarvi di uno dei pomeriggi più surreali della mia vita, quello di venerdì scorso.

Il giorno della partenza per il week end maroso: treno alle ore 14:10 diretto verso un paesino in provincia di Grosseto. Coincidenza a Siena nel giro di 5 minuti dall’arrivo.
E fin qui, nulla di interessante.
Il treno è nemmeno troppo pieno ma il caldo, a causa di un’inesistente aria condizionata (oh! Ma tu guarda che strano!), inizia a mietere vittime. Tra cui me, che potrei donare un rene per continuare il mio viaggio sul tetto.
Un’ora e mezzo dopo la partenza, una prolungata sosta immotivata alla stazione di Badesse (c’è un paese con questo nome in Italia?!) ben poco distante dal luogo della coincidenza.
Mi alzo, anche per evitare svenimenti da calura, e vado a chiedere informazioni, dopo che il pensiero: "Uhm. Ma non avevamo una coincidenza ad una certa? Sì. Vediamo…la coincidenza partirà esattamente….ADESSO" è diventato oramai un mantra.
E quindi scopro che altra gente infuriata sta chiedendo informazioni sul mio stesso treno per Grosseto, pregando di avvertire la stazione del ritardo, e far sì che gli innumerevoli passeggieri possano usufruirne.
"Sì. Abbiamo avvertito. Dovrebbero aspettare".

.

Ovviamente.
Nessuno aspetta nessuno, in fatto di treni. La coincidenza è partita in perfetto orario, ignorando l’avvertimento (poi scopriremo che esso venne fatto in super ritardo, nonostante la richiesta dei passeggieri fosse stata fatta in tempo) e la consuetudine  che vede moltissimi passeggieri fiorentini contare su di essa per giungere a Grosseto.
E qui inizia lo psicodramma.
Un gruppo di gente con sguardi assassini (tra cui la sottoscritta) si reca da una parte all’altra della piccola stazione di Siena, per poter ottenere giustizia. Sbraitando e rimbalzando da un ufficio all’altro.
Questo l’ordine:
Biglietteria tizio random 1/Ufficio movimenti/Biglietteria tizio random1/Biglietteria tizio random 2/binari? (boh, non ero presente, ma io credo che qualcuno l’abbia fatto)/Appostamento permanente Biglietteria tizio random 1 (un uomo distrutto).
Poi…come un lieve venticello: la rassegnazione.
Niente. Nonostante la colpa sia stata di un capotreno idiota che non ha avuto la geniale idea di informare la stazione del nostro ritardo per tempo, nonostante gente quasi spaccasse vetri e pretendesse una soluzione…nessuno la trova.
E non ci resta che accettare il treno di ben 2 ore dopo. Treno che, per la maggior parte dei casi, non ci porterà sino all’originaria destinazione.
Penna alla mano, si firmano reclami, si progettano servizi diffamatori sul giornale e si impreca contro Trenitalia.
Io credo che dovrò prendere un autobus dalla stazione di Grosseto  fino al mio paesello.
"Una navetta delle FS".
Sembra pure che girino oscure leggende su di essa: c’è chi dice sia un licantropo travestito da furgoncino blu, o ancora chi afferma di averlo visto aggirarsi per Grosseto con le sembianze Elvis Presley. Altri ancora giurano che sia morto in uno strano incidente stradale, qualche anno fa. Qualcuno dice che non sia mai esistito…
Boh. Lo scoprirò solo tra qualche ora.
Ci rechiamo al binario dato che, tra una chiacchiera, l’altra ed un caldo più che soffocante, passano le famigerate 2 ore.
E dunque qui, calmati gli animi, facciamo conoscenza: c’è la tipa che insegna yoga e che mi ringhia all’orecchio (!); la tipa che canta in chiesa e che deve andare a Montepescali (ma è un paese presente nel sistema solare quello?); la tipa politica; quella con la mano fasciata; il Nerd; la vecchietta silenziosa e discreta e Mango. Sì, il cantante. Apparte che è più alto di qualche metro e che parla milanese, giurerei che sia lui. Ah. E la tipa cantante che ama i Beatles. Io.
L’avessi mai detto.
Appena saliti sul treno, ogni elemento della simpatica e oramai non più incazzata compagnia "deve" esibirsi (sì. Esibirsi.) nel suo campo prediletto.
Ed io non posso esimermi. No. Nonostante le mie resistenze, non posso declinare le richieste che venivano da chiunque.
E quindi, superata la vergogna (c’era anche gente ignara di tutto su quel vagone!), inizio a cantare senza nemmeno sprofondare. Mozart, Verdi eccetera eccetera.
Tanto oramai, è tutto così dannatamente surreale.
Poi. Applausi da stadio e complimenti. Un’amabile sensazione, credetemi.
Sono tutti sorridenti ed entusiasti: adesso tocca a qualcun altro recitare il 23° canto del Paradiso e l’Infinito di Leopardi.
E così via, fino a chiamarci per nome come vecchi amici, a canticchiare i Beatles, a far quasi piangere la 70enne causa "troppi ricordi" e a rischiare di essere infine buttati fuori in massa "anche" da questo treno.
Man mano che il viaggio prosegue la compagnia si sgretola, fino a diventare solo un ricordo. Tanti saluti. Piacere. A boh. Forse più probabilmente a mai.
Arrivo alla stazione di Grosseto, più di 5 ore dopo la partenza e 2 ore dopo l’arrivo previsto al mare, collassata su un tavolo random del bar.
Mi informo sul mitico bus, che partirà esattamente un’ora dopo quel che pensavo io!
Ancora Signori! Ancora imprevisti e sfighe per Isabella!

E aspetto.
E sorrido. Alla fine dei conti. Sorrido.

Bhè, le avventure quella sera non finirono lì. Ma devo farmi la doccia, non posso di certo raccontarvi che a destinazione ci sono arrivata alle 23:30!

(Ah sì giusto, suppongo vogliate sapere particolari interessanti sulla "navetta delle FS".
No. Non posso dirvi niente.

Io ho visto cose che voi umani potete solo immaginare
.)